mercoledì 25 novembre 2009

ALPINISMO


Nell'alpinismo sono presenti vari aspetti dell'animo umano, vi è spesso un grande desiderio di esplorazione e di conoscenza, il piacere puramente estetico di godersi una gran bella vista, il fatto di estraniarsi dalla folla, allontanarsi per così dire dalla vita comune e starsene per proprio conto; vi può essere un forte interesse scientifico a conoscere come uomini ed animali si adattano a condizioni difficili; infine vi può essere anche una forte propensione al cimento, e cioè il fatto di doversi misurare con difficoltà di grado variabile, più o meno commisurate alle proprie forze, e per alcuni con la motivazione ferrea di ricercare condizioni particolarmente impegnative, estreme (come una prima invernale su una parete nord).

Un po' di storia...

Il cimento pone inevitabilmente il problema della competizione, dell'anelito alla "prima ascensione". La storia dell'alpinismo include quindi questi vari aspetti.

Certo, agli albori, ha dominato l'aspetto esplorativo, mentre oggi essendo stato quasi tutto esplorato il nostro pianeta, prevale un atteggiamento di ricerca di difficoltà.

Ma naturalmente è sempre possibile andare in montagna per il semplice piacere di farlo, scegliendo i percorsi che più si addicono alle proprie propensioni, con animo equilibrato e pronto ad accogliere alcuni elementi essenziali di questo sport e cioè: una notevole frugalità di costumi, tolleranza nei confronti di una serie di inevitabili scomodità, una saggia distribuzione delle proprie forze, sopportazione della fatica, una buona condizione fisica .

Con questo animo De Saussure , osservando il Monte Bianco dalla sua casa di Ginevra, sognava di raggiungerne la cima; egli era uno scienziato, buon camminatore, appassionato di alpinismo, ma non buon alpinista per via della sua stazza. I suoi approcci nella vallata di Chamonix furono numerosi e si fece spesso accompagnare da un folto gruppo di guide in esplorazioni sulle lingue di ghiacciaio che scendono sui fianchi del Monte Bianco. Molte belle litografie lo ritraggono con una redingote rossa impegnato nella lunga fila di guide che si snoda tra guglie di ghiaccio molto fantasiose. Le prime litografie lo presentano possente nel fisico, diciamo un po' pesante, mentre nelle successive la sua silouette si fa più sottile e qualcuno sostenne che fu lui stesso a richiedere meno realismo. Come si sa, De Saussure non ebbe la grande soddisfazione di scalare per primo il Monte Bianco: l'impresa richiedeva grande ardimento, determinazione, forza fisica e soprattutto idee chiare sul percorso da scegliere e sulla strategia da seguire per condurre a termine l'impresa. Proprio questo ultimo punto mi fa attribuire il maggior merito dell'impresa a Balmat , cercatore di cristalli di Chamonix che il 7 giugno 1786 effettuò una ricognizione insieme allo zio del medico di Chamonix di nome Paccard. Venne riferito che, nel corso della ricognizione, Balmat si perse nella nebbia e fu costretto a pernottare in quota rientrando la mattina successiva a Chamonix tra lo stupore di tutti in quanto non si riteneva possibile che si potesse sopravvivere ad un bivacco in quota. Il 7 agosto dello stesso anno Balmat partì alla conquista del Monte Bianco scegliendo come compagno il medico di Chamonix, Paccard appunto, buon alpinista, buon camminatore, laureato a Torino, interessato a sperimentaziomi scientifiche . I due pernottarono a circa 2300m: questa decisione logica non poteva che prenderla Balmat in quanto conosceva la lunghezza del percorso. Il mattino successivo scattarono alle 4:15, alle 13:50 sono sul grande ghiacciaio che sta proprio sotto il massiccio sommitale del Bianco denominato Gran Plateau e qui andava presa la decisione alpinistica difficile: che percorso scegliere? Solo Balmat, che aveva esplorato la zona due mesi prima, poteva lanciarsi con decisione su un pendio abbastanza ripido che si apriva tra due poderosi contrafforti denominati Rochers Rouges. La via, denominata "ancien passage inférieur", li fece sbucare sulla cresta sommitale da cui, per un facile pendio, raggiunsero la vetta alle 18:30.
Paccard fece le sue osservazioni scientifiche e poi i due rientrarono per la stessa strada ed affrontarono un altro bivacco nello stesso posto della salita. Pianificazione perfetta nella distribuzione dell'impegno. Fu proprio Balmat che poi condusse il pesante De Saussure nell'anno successivo sulla vetta del Bianco, approntando addirittura una specie di accampamento per il pernottamento. Chamonix ha reso onore al grande Balmat dedicandogli uno splendido monumento che lo ritrae mentre indica a De Saussure la vetta del Bianco.


Altra grande pagina di storia dell'alpinismo è la conquista dell'Everest, ritornata prepotentemente di attualità successivamente al ritrovamento del corpo dello scalatore inglese Mallory che nel 1924 scomparve insieme al suo compagno Irvine nell'attacco finale al tetto del mondo. Mallory era un intellettuale, letterato, appassionato di alpinismo, ed aveva partecipato alla ricognizione effettuata nel 1921 per individuare una via di accesso all'Everest. Dal 1865, vi era l'indicazione dell'esistenza di questo alto picco, così nominato in onore di Sir John Everest, sovrintendente generale del gruppo di rilevamento trigonometrico in India. Il nome tibetano della montagna era Chomolungma, che significa, ben più poeticamente, Dea Madre, e quello nepalese Sagarmata, ancora più poetico: Alto nel cielo .
Mallory sosteneva che l'Everest andava scalato "by fair means" senza cioè ricorrere all'ausilio delle bombole di ossigeno. Nella spedizione del 1924 la cordata di punta era costituita da Somervell e Norton, sicuramente due tipi in gamba: il primo si arrese a 8150 m, il secondo continuò da solo sino a circa 8573m e poi prese la decisione logica di rientrare a causa della grande fatica fisica e delle difficoltà alpinistiche.
Fallita la cordata di punta ecco entrare in scena Mallory il quale scelse come compagno Irvine, buon canottiere, mediocre alpinista, ma grande esperto in bombole di ossigeno. I due, allontanatisi dall'ultimo campo con forte ritardo, presumibilmente per problemi alle valvole delle bombole, lasciarono un biglietto un po' confuso dove confondevano le ore del pomeriggio con quelle del mattino, e, abbandonato il criterio dei "fair means", si lanciarono all'attacco. Di loro rimane qualche secondo di immagini cinematografiche, riprese da un altro membro della spedizione, che li ritrae in uno squarcio di nebbia come puntini sulla cresta sommitale dell'Everest, molto, ma molto lontani dalla vetta e in grave ritardo rispetto ad una ragionevole tabella di marcia. Il ritrovamento del corpo di Mallory ha senza ombra di dubbio indicato lesioni compatibili con una caduta. Rimane l'interrogativo sul fatto che Mallory e il suo compagno abbiano o meno raggiunto la vetta, e cioè sul fatto che la caduta si sia verificata durante la salita o la discesa dalla vetta. Molte considerazioni alpinistiche escludono ragionevolmente che i due possano avere raggiunto la vetta, in particolare le grandi difficoltà tecniche del superamento di un punto della cresta indicato come "secondo salto". Ha stupito inoltre l'equipaggiamento leggero, del tutto inadeguato alle condizioni climatiche.

L'alta quota e la scienza

Nel 1646, Florin Perier , su istruzioni del cognato, il grande matematico, scienziato e filosofo Pascal, dimostrò che la pressione atmosferica si riduce salendo in quota. Egli partì di buon ora dal monastero di Clermond Ferrand e, accompagnato da un gruppo di monaci, salì sin sulla vetta del Puy de Dome. Qui, usando il barometro di Torricelli, misurò la pressione atmosferica e senza ombra di dubbio dimostrò che era inferiore rispetto a quella di Clermond Ferrand.
Paccard, cento anni più tardi confermò questo fatto misurando la pressione in vetta al Monte Bianco, anche se dedusse un'altezza corrispondente maggiore di quella effettiva. La riduzione della pressione atmosferica comporta anche una riduzione della pressione dell'ossigeno, condizione comunemente riferita come ipossia che genera consistenti modificazioni nella risposta dell'organismo: per questo motivo molti fisiologi si sono interessati a questo aspetto. Era d'altra parte noto sin dal 1674 che, così come una candela si spegne se mantenuta sotto una cappa di vetro, anche un uccellino in situazione analoga finisce per morire (osservazione di John Mayow). Ci vollero ancora 100 anni perchéLavoisier fosse in grado di dimostrare che insufflando ossigeno sotto la campana preveniva tanto lo spegnimento della candela che la morte dell'uccellino. Nello studio specifico delle risposte organiche all'alta quota ricordiamo il francese Paul Bert , autore del testo "La pression barometrique"; Angelo Mosso , professore di fisiologia a Torino autore di uno splendido volume intitolato "Fisiologia dell'Uomo sulle Alpi" ove raccolse le osservazioni scientifiche effettuate sul Monte Rosa al rifugio del Col d'Olen e alla capanna Margherita; in pieno novecento, ricordiamo anche Rodolfo Margaria , professore di Fisiologia Umana all'ateneo milanese, i suoi allievi e l'inglese Pugh , fisiologo della spedizione inglese all'Everest del 1953.

Attualmente per gli studiosi della fisiologia dell'alta quota è disponibile il laboratorio della Capanna Margherita, quello dello Jungfrau e la nota Piramide in Nepal.

Fisiologia dell'alta quota

La diminuzione della pressione atmosferica con l'aumentare della quota comporta una proporzionale riduzione della pressione dell'ossigeno, condizione comunemente riferita come ipossia. In pratica, l'aria che si respira consente di veicolare meno ossigeno al sangue ed ai tessuti, effetto che diventa particolarmente evidente al di sopra dei 3000m e rende sicuramente difficoltosa la vita ad altezze estreme. La risposta dell'organismo all'ipossia è complessa ma finalizzata a garantire ai tessuti un miglior apporto di ossigeno. Le due principali ed immediate risposte sono:

  • l'aumento della ventilazione polmonare;
  • l'aumento della gettata cardiaca.

    Una risposta che si sviluppa e si completa più lentamente per permanenze superiori ai 15 giorni oltre i 3500m è l'aumento del numero dei globuli rossi e di conseguenza l'aumento della concentrazione nel sangue dell'emoglobina, il pigmento che fissa l'ossigeno.

    In ipossia il lavoro fisico diventa più faticoso, inoltre si verifica una limitazione nella massima potenza che i muscoli sono in grado di erogare e la limitazione è tanto maggiore quanto più ci si eleva in quota .

    Ad esempio, ad un'altezza di 6000m, la massima potenza aerobica può ridursi al 60%del valore a livello del mare. Sulla vetta dell'Everest il consumo di ossigeno necessario a sopravvivere è praticamente uguale al massimo consumo di ossigeno che l'organismo è in grado di sostenere

    Il tessuto che maggiormente risente dell'ipossia è il sistema nervoso centrale; la tolleranza nei confronti dello stimolo ipossico è però molto variabile tra gli individui. Un altro effetto dell'ipossia è l'aumento della permeabilità vasale il che comporta fuoriuscita di liquido dal circolo verso i tessuti con possibile formazione di edema. Gli organi più delicati da questo punto di vista sono il cervello ed i polmoni ed infatti l'edema cerebrale e polmonare rappresentano gravi complicazioni dell'esposizione all'alta quota. Il mal di testa e la nausea rappresentano sintomi molto comuni che rivelano sofferenza del tessuto nervoso centrale. Il lavoro dei muscolo differisce grandemente tra la salita e la discesa. In salita i muscoli lavorano in contrazione-accorciamento, condizione che implica lo sviluppo di forze relativamente basse. In discesa invece i muscoli lavorano in contrazione-allungamento; provate a porre una mano sulla coscia quando scendete le scale, noterete che il quadricipite si contrae quando flettete la gamba ed alzate il piede controlaterale per scendere di un gradino. La condizione di contrazione-allungamento genera forze molto elevate e può portare a microlesioni del tessuto muscolare. E' riconducibile a questo inconveniente il mal di gambe che frequentemente si accusa nei giorni seguenti una lunga discesa.

    L'esercizio della marcia in montagna è uno dei più fisiologici e dei più allenanti: in salita l'impegno è principalmente aerobico e cardiovascolare, in discesa domina invece l'aspetto del controllo neuromotorio, quindi la precisione e la coordinazione nell'esecuzione del movimento.

    Allenamento

    Sicuramente l'alpinismo di un certo livello richiede una buona preparazione fisica; ad esempio occorre allenarsi per puntare all'ascensione al Monte Bianco. Tuttavia, mediamente e per la maggior parte delle persone, l'alpinismo può essere considerato esso stesso come vera e propria forma di allenamento. La marcia lenta in salita e l'impegno neuromuscolare durante la discesa rappresentano una perfetta miscela allenante che migliora la resistenza aerobica, la forza muscolare, la coordinazione neuromuscolare. Lo scarpone deve essere comodo ed ognuno deve trovare il suo: il mal di piedi è il peggior nemico dell'alpinista.

    Un programma di impegno medio, come potrebbe essere quello dedicato ad un trekking a quote medio alte, certo comporta che il soggetto sia un po' allenato, il che sostanzialmente significa che il soggetto abbia dimestichezza con il tipo di esercizio a cui va incontro, basta quindi farsi qualche bella gita di qualche ora con il sacco sulle spalle.

    Per un trekking extraeuropeo che porti oltre i 5000m le cose non vanno prese sottogamba; occorre essere allenati, ben equipaggiati e perfettamente al corrente delle possibili complicazioni sul piano medico generale e legate all'alta quota.

    L'alpinismo è attività fortemente dispendiosa sul piano energetico:

    L'equipaggiamento deve prevedere soprattutto la difesa dal freddo. Il problema della protezione dal freddo si fa acuto in condizioni di vento. In questo caso si applica il concetto della temperatura equivalente: ad esempio, l'effetto termico in condizioni di vento di circa 10 km/h e temperatura ambiente di 0°C , è equivalente a -20°C in assenza di vento. Questo dà l'idea di quanto pesi il vento nel sottrarre calore all'organismo.

    Alimentazione

    L'elevato dispendio energetico comporta un' adeguata assunzione calorica. Ad esempio, una gita di 6 ore prevede un dispendio energetico dell'ordine di 2400 Kcal, paragonabile a quello di una maratona. Occorre introdurre alimenti con una certa regolarità, ad esempio ogni ora e mezzo, prevenendo l'ipoglicemia. In assenza di assunzione di alimenti l'ipoglicemia si rende evidente verso le 2 ore; dopo questo tempo il consumo di zuccheri da parte dell'organismo ammonta a circa 40 g. E' quindi consigliabile reintegrare una quota di zuccheri corrispondente. Basta avere a disposizione piccole quantità di alimenti energetici ricchi di zuccheri. Per ascensioni più lunghe il dispendio energetico può essere dell'ordine delle 8000-9000 Kcal; in questo caso ben difficilmente è possibile reintegrare una quota calorica così elevata e pertanto l'organismo va incontro ad una perdita netta di massa corporea la cui ossidazione copre in parte l'elevata richiesta energetica. In alta quota la disidratazione è notevole sia come evaporazione di acqua attraverso la pelle sia attraverso l'iperventilazione. Mediamente, la perdita di acqua durante una gita di un giorno è dell'ordine di 1 litro; questo volume raddoppia se ci si trova in alta quota. Pertanto occorre reintegrare le perdite di acqua con bevande calde (il thè zuccherato è perfetto).

    Qualche suggerimento

    Vagare per montagne è un piacere molto semplice che associa l'impegno fisico alla possibilità di guardare in giro e di scoprire orizzonti nuovi. Si possono prediligere orizzonti collinari e visioni dolci, con lo sfondo del mare, oppure dolomiti rosse e boschi neri, oppure l'immensità e l'isolamento delle morene, dei ghiacciai e delle creste del gruppo del Bianco, oppure ancora si può spingersi su monti di terre lontane e conoscere popoli, usi e costumi così diversi dai nostri. La scelta è ampia, l'impegno dal punto di vista fisico va commisurato alle proprie capacità, si può andare in gruppo, soli, oppure godere della simpatica compagnia delle guide che la sanno sempre lunga sulla montagna e sulla sua storia; si può spendere poco (è il caso più frequente) o tanto se ci si lancia nell'alpinismo extraeuropeo; si possono ripercorrere pagine storiche scritte da protagonisti eccelsi dell'alpinismo e dell'esplorazione, la via dei Rocher al Bianco, aperta da Carrel, oppure la via De Amicis al Cervino, o ancora qualche itinerario che ripropone la mitica figura del Duca degli Abruzzi in terre lontane o le splendide fotografie di Vittorio Sella. Per chi vuole cimentarsi con la corda in vita l'imperativo è la sicurezza: questa si acquisisce seguendo regolari corsi di alpinismo.




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