venerdì 29 gennaio 2010

SCI DI FONDO: POTENZIAMENTO IN PALESTRA


A cura del Prof. Mario Testi
Testo del Prof. Giancarlo Pellis
Preparatore atletico, docente presso
la Scuola Centrale dello Sport
del CONI di Roma

Come per lo sci alpino, anche per lo sci di fondo è possibile integrare il lavoro svolto sulla neve con sedute di potenziamento in palestra. Per cercare di dare delle indicazioni più precise in merito all'allenamento da svolgere a secco (non sulla neve), in prima analisi è possibile fare riferimento a quanto presentato nel programma In-door/out-door training, da dove è possibile scaricare e stampare dei piani di lavoro per la corsa (jogging) strutturati in modo da potenziare il sistema aerobico. Questi piani di lavoro sono programmati sulle reali capacità del soggetto (test di Cooper ) ed impostati sul concetto della progressività del carico allenante. L'allenamento è attuato alternando l'aumento della velocità di corsa con quello della distanza.
Per completare la preparazione a secco, è consigliabile anche il potenziamento della muscolatura degli arti superiori e del cingolo scapolo-omerale, con particolare riferimento ai muscoli che abbassano la spalla. Ciò è molto utile per aumentare la spinta delle braccia, impressa per il tramite dei bastoncini, nella pattinata.
Per questo tipo di rafforzamento, gli esercizi più indicati sono:

Distensione alla panca - Chest Press

Seduti alla cest press, arti superiori in flessione, impugnare l'attrezzo ed estendere le braccia.
Muscoli impegnati: gran pettorale, tricipite brachiale, gran dentato, anconeo, deltoide, piccolo pettorale, coracobrachiale.

Tirata alla Lat Machine: con impugnatura stretta

Seduti alla lat machine, arti superiori distesi verso l'alto-avanti, impugnare la barra dell'attrezzo alla larghezza delle spalle, con pollici in dentro, flettere gli arti inferiori fino a portare la barra all'altezza del petto.
Muscoli impegnati: gran dorsale, gran pettorale, trapezio, bicipite brachiale, gran dentato, gran rotondo, brachiale anteriore, sottoscapolare, flessore radiale, flessore ulnare, flessore delle dita.

Tirata al petto - Row Machine

Seduti alla row machine, arti superiori distesi verso avanti, impugnare l'attrezzo e flettere gli arti fino a portare l'attrezzo all'altezza del petto.
Muscoli impegnati: gran dorsale, gran pettorale, trapezio, bicipite brachiale, gran dentato, deltoide, gran rotondo, brachiale anteriore, sottoscapolare, flessore radiale, flessore ulnare, flessore delle dita.

Pullover

Seduti alla pullover machine, arti superiori in alto, in atteggiamento breve (angolo di 90 gradi tra braccio ed avambraccio), impugnatura a passo normale con pollici in dentro, spingere l'attrezzo in avanti-basso fino a portarlo all'altezza dell'addome. Durante l'esecuzione dell'esercizio mantenere inalterato l'angolo al gomito.
Muscoli impegnati: gran pettorale, gran dentato, gran dorsale, trapezio, gran rotondo, coracobrachiale, piccolo pettorale, succlavio, sottoscapolare.

Addominali

Nello sci di fondo sono molto importanti i muscoli addominali. Essi sono impegnati sia nella flessione avanti del tronco, per prolungare l'azione degli arti superiori nella pattinata con la spinta simultanea dei bastoncini, sia nella respirazione. Quest'ultimo gesto, come succede in tutte le discipline aerobiche, è ripetuto per un numero indefinito di volte, assorbendo una considerevole quantità d'energia muscolare. L'allenamento della parete addominale ha lo scopo di elevare il rendimento della muscolatura che la costituisce, utile sia per l'assetto generale del tronco, che come detto per la respirazione. Il migliorato rendimento favorisce inoltre il risparmio di quote energetiche dirottabili a favore dei muscoli impegnati nell'espletamento dell'azione tecnica.
Per un corretto allenamento dei muscoli addominali si faccia riferimento all'articolo: "Addominali e mal di schiena".
Per quanto riguarda invece l'allenamento per il potenziamento degli arti inferiori, è possibile riferirsi a quanto già pubblicato nell'articolo "Sci da discesa - approfondimento".

fonte: www.benessere.com

SCI DI FONDO: ALIMENTAZIONE


Il fondo è disciplina che comporta una considerevole spesa energetica, tanto maggiore quanto più scarso è il bagaglio tecnico. Come in tutte le discipline di resistenza, il principale inconveniente è rappresentato dall’ipoglicemia: per prevenirla, occorre assumere ogni ora-ora e mezzo alimenti energetici che quindi bisogna avere a disposizione con sé. E’ anche elevata la perdita di acqua attraverso la traspirazione e il sudore. Polenta e salsiccia a metà giro rappresentano un interessante elemento di valenza sociale ma hanno poco a che fare con l’allenamento.
Un piccolo zainetto sulle spalle consente di portarsi dietro tanto una piccola scorta di viveri che un termos con una buona bevanda calda. Nel fondo si consiglia un tenore zuccherino superiore rispetto a prove di resistenza su terreno: ad esempio nella maratona si consiglia una soluzione glucosata al 6%, mentre nel fondo si può tranquillamente arrivare al 10%.

Itinerari e gare

Programmare una vacanza in sci da fondo è un’esperienza rilassante e meravigliosa, infatti è un modo di fare del turismo.
Ci si può spostare da un luogo all’altro con tappe di 15-20 km su piste ben battute. Si può scegliere la Finlandia, o la Svezia e la Norvegia, oppure il Massiccio centrale in Francia, o le splendide vallate delle nostre Alpi.
Per chi ha ambizioni a livello amatoriale c’è ampia scelta: ad un estremo la Vasalopp, sulle orme di re Wasa, tanta strada ma poca salita, all’altro estremo la Marciagranparadiso, 45 km con partenza e arrivo a Cogne, passo classico obbligato, salite lunghe e dure, discese impegnative, camosci e stambecchi che guardano con curiosità gli sciatori (gli sciatori invece è meglio che guardino la pista).

In gare del genere bisogna sempre avere a disposizione qualcosa da mangiare e da bere oltre che un adeguato set di scioline.

SCI DI FONDO: FISIOLOGIA


Lo sci di fondo è uno sport ad elevata componente aerobica e quindi comporta un grosso impegno cardiovascolare.

Allenamento

I grandi campioni del fondo dispongono di una elevatissima potenza aerobica la quale, a sua volta, risulta da una grande efficienza del sistema cardiovascolare. Per affrontare la stagione di fondo bisogna quindi prepararsi seguendo un programma di condizionamento-allenamento di tipo aerobico che, per la maggior parte delle persone, si svolge a secco.
La corsa (jogging) è l’allenamento base.
E’ utile prevedere una progressione nel carico di allenamento. Privilegiare la resistenza all’inizio cercando di arrivare a correre un’ora-un’ora e mezzo; successivamente si può seguire un programma più specifico per migliorare la velocità di fondo. Questo obiettivo si raggiunge accorciando la distanza ma aumentando la velocità. Una programmazione dell’allenamento a secco è fortemente consigliabile a chi intende competere in corse di grande impegno.
Quando arriva la neve bisogna inizialmente dedicarsi al ripasso dello stile a al perfezionamento tecnico; questa fase non deve essere sacrificata: è infatti il miglior investimento per la stagione. Successivamente si può passare alla fase di accumulo di chilometri fino a coprirne 25- 30 nel corso di una seduta. Nella terza fase si migliora la velocità accorciando la distanza.
Se l’obiettivo è quello di partecipare a qualche gara importante bisogna sicuramente accumulare un bel po' di ore di lavoro, nel fondo infatti le ore e non i chilometri, sono il parametro che conta.
Alla fine dell’allenamento si può essere madidi di sudore, e il berretto può esserne intriso. Bisogna avere a disposizione altri indumenti per coprirsi subito perché il raffreddamento è repentino: giacca a vento sempre disponibile, guanti e berrettino di ricambio.
Bronchiti e tracheiti sono i principali nemici del fondista. Dato l’impegno, nel fondo la traspirazione cutanea e la sudorazione sono elevate; occorre essere leggeri durante l’esercizio ma disporre di buona copertura quando ci si ferma.

SCI DI FONDO: Il passo pattinato


In questi ultimi anni si è fatto strada il cosiddetto passo “pattinato” ove non è necessaria la sciolina. La pratica del passo pattinato è resa possibile dalla battitura meccanica di una pista larga almeno 2.5-3 metri. Nel passo pattinato il soggetto pattina letteralmente sugli sci aiutandosi con una spinta delle braccia. Niente sciolina in questo caso, anzi paraffina per scivolare al massimo. Mediamente, questo stile è di esecuzione più facile rispetto al passo alternato (tutti più o meno sono in grado di eseguirlo), è abbastanza elegante da vedere se il movimento è armonioso, altrimenti dà una impressione di grande goffaggine.
Per contro, nel passo “alternato” il movimento risulta in fondo più congeniale; tutto sommato il soggetto può anche camminare, in pratica scivolare poco effettuando una spinta modesta. Così infatti va la maggior parte della gente con gran godimento.

Gli sci da alternato e da pattinato, così come gli attacchi e le scarpette, sono diversi. Tuttavia sono disponibili alcuni modelli che realizzano un utile compromesso per essere usati con entrambi gli stili.

fonte:www.benessere.com

SCI DI FONDO: Il passo classico


E' quello più antico, più bello da vedere e più atletico. Si effettua su pista con binari paralleli, una volta battuti dagli sciatori, attualmente preparati meccanicamente.
Il passo base prende il nome di passo alternato, infatti si muovono braccia e gambe in modo alternato come nella marcia. A differenza della marcia, nel fondo la spinta con la gamba in appoggio è molto forte ed imprime un’accelerazione al corpo e quindi allo sci che scivola in avanti. Quando la spinta si è quasi spenta, viene appoggiato l’altro piede che a sua volta provvede alla successiva spinta. La spinta della gamba viene aiutata da quella del bastoncino effettuata dal braccio opposto alla gamba. La coordinazione tra spinta di gamba e di braccia richiede una grande tecnica e pratica. Perché la spinta della gamba generi un’accelerazione verso l’avanti, bisogna che, al momento della spinta stessa, lo sci non scivoli sul terreno ma rimanga attaccato, ancorchè debolmente, alla neve.

Questo compromesso si raggiunge mediante l’uso delle scioline. La sciolina ottimale consente l’aggancio dello sci alla neve al momento della spinta: in termini fisici questo significa che esiste un attrito statico sufficientemente elevato da non far scivolare indietro lo sci; successivamente, si ha la scivolata e in questa fase la sciolina deve garantire un basso coefficiente di attrito dinamico. Il coefficiente di attrito dinamico è sempre inferiore a quello statico, tuttavia esiste una correlazione tra i due coefficienti. Infatti, se la sciolina “attacca” molto, la spinta è facile ma la scivolata è scarsa. Se la sciolina “attacca” poco, lo sci scivola indietro in fase di spinta ma scorre bene sulla neve. Il fondo a passo classico è una disciplina dove eccelle la componente tecnica, infatti il gesto atletico nella sua semplicità richiede grande efficienza, in questo caso il costo energetico è relativamente basso, circa 1 kcal/(kg x km). Se l’esecuzione è scadente il costo energetico può aumentare di tre- quattro volte e questo spiega il rapido esaurimento di chi non possiede la tecnica.
L’uso delle scioline richiede conoscenza e astuzia, ma le regole sono in fondo abbastanza semplici
.
Prima regola
: la scelta della sciolina dipende dalla temperatura della neve in superficie; quindi basta leggere sulla confezione e scegliere quella che meglio si adatta alla temperatura ambiente.
Seconda regola : bisogna considerare il tipo di neve, e da questo punto di vista esistono due categorie di scioline, quelle dure (o stick) e quelle molli in tubo (dette klister) . La neve giovane ha un cristallo piccolo, infatti è soffice, polverosa; in questo caso bisogna usare scioline dure. Con il passare del tempo e con le escursioni termiche la neve “invecchia”, si formano grossi cristalli e la neve diventa dura, ghiacciata sotto zero, oppure pastosa e pesante se la temperatura sale sopra lo zero (questo si verifica soprattutto in primavera). In questo caso si usano scioline molli e vischiose in tubetto; la loro applicazione comporta un certo incollamento e sporcamento di mani.
Un’altra regola è che di norma non è possibile applicare una sciolina per neve molto fredda su una sciolina per neve meno fredda applicata precedentemente. Grosse difficoltà esistono anche per i migliori sciatori con neve fresca e temperatura intorno allo zero: c’è chi dice che conviene stare davanti al camino, infatti o lo sci scivola indietro o si fa lo “zoccolo”, due casi opposti, insomma. E’ certo che le scioline fanno un pò impazzire, però è un pasticcio divertente!

fonte: www.benessere.com

SCI DI FONDO: Un po' di storia...


In Svezia fu trovato in una palude uno sci datato a ben 5000 anni fa. Inoltre, risale al 2000 a.C. la più antica rappresentazione che ritrae due cacciatori di renne che inequivocabilmente calzano specie di sci.
Molto più vicino a noi, il re Gustav Wasa, fondatore della monarchia svedese, non essendo riuscito a convincere il suo popolo a ribellarsi alla dominazione danese, partì sconsolato da Mora per recarsi in terra norvegese e cercare aiuto. Fu raggiunto dopo circa 90 km a Salen da due messi che gli comunicavano la decisione coraggiosa di ribellarsi ai danesi. Sicuramente notevole la prestazione di Wasa, ancora più significativa quella dei due messi che si misero alle sue calcagna e lo raggiunsero. Dal 1922, gli svedesi ricordano questo lontano episodio con una gara di fondo, la Vasaloppet , che si snoda da Salen a Mora, percorrendo in senso inverso la marcia dell’antico re.
Auguriamo a tutti di correre una Vasaloppet, e di provare l’emozione di vedere il campanile della chiesetta di Mora che sporge dalla nera boscaglia proprio vicino all’arrivo.
Certamente lo sci è nato al nord come mezzo di trasporto oltre il 55° parallelo. Come sempre, la natura fornì il suggerimento per inventare lo sci di fondo. Gli sci di fondo vengono dalle betulle che coprono fittamente le colline scandinave. Le betulle hanno un diametro di 5-8 cm e sono alte e dritte. Tagliate a metà per il lungo una betulla (operazione che risulta facile per la natura del legno) ed ecco un paio di sci da fondo.
Un po' più difficile deve essere stato curvare la punta. Se visitate il museo di sci di fondo di Lahti, ridente cittadina finlandese patria del fondo, vedrete che i primi sci sono proprio betulle tagliate a metà per il lungo, e vedrete anche i vari tentativi per dare alla punta la curvatura necessaria. Oggi il legno di betulla, così leggero e resistente, è solo un componente dei moderni sci da fondo.

fonte: www.benessere.com

Caratteristiche dello sci da fondo

Il fondo è una disciplina sportiva meravigliosa per l’ambiente in cui si pratica, boschi, valli (fondo valle, da cui il nome appunto) ma anche salite e discese spesso dolci (ma non sempre!). Oggi le piste sono ben battute e al giro di boa c’è un ristoro con bevande calde, salsicce, polenta, ecc. Vi sono due stili, il passo classico e il passo pattinato .

SCI DI DISCESA: MODALITA' DI ESECUZIONE


L'allenamento a secco, per avere la massima resa, deve prevedere le stesse modalità di contrazione che vengono richieste sulla neve. Ciò può essere ottenuto variando la modalità di esecuzione dello stesso esercizio, in modo da renderlo più possibilmente simile all'impegno muscolare nelle singole fasi di piegamento, distensione, posizione assunta nella diagonale o nella massima pendenza. Nel piegamento, ovvero nella fase nella quale la muscolatura tende ad allungarsi, si determina una contrazione denominata eccentrica. In questa fase il muscolo produce forza per frenare il peso del corpo che tende ad avvicinarsi al terreno. Lo stesso tipo di contrazione avviene quando durante la discesa si "assorbe " un asperità del terreno (piccolo dosso). Per simulare tale situazione, la modalità di esecuzione dell'esercizio alla pressa, prevede un lavoro eccentrico o di frenata per impostare il quale è indispensabile conoscere il massimale di ogni singolo arto. Il carico di lavoro quindi risulta superiore al massimale. L'atleta, partendo dalla posizione di gambe piegate, 90-100° al ginocchio, dovrà utilizzare l'estensione di ambedue gli arti per allontanarsi con il seggiolino. Raggiunta la massima distensione, dovrà eliminare l'appoggio di un arto e cedendo, frenare con una sola gamba, riportando il seggiolino nella posizione iniziale (massimo piegamento dell'arto) lentamente e senza sbattere.

Nella distensione, ovvero nella fase di spinta durante una curva, gli arti inferiori vengono distesi; la muscolatura si accorcia in seguito ad una contrazione concentrica. Per simulare tale dinamica, dalla posizione di gambe piegate l'esercizio deve essere eseguito con partenza da fermo. Raggiunta la massima escursione il movimento deve essere interrotto. Ritornati alla posizione di partenza la successiva ripetizione deve essere eseguita dopo una breve pausa per evitare che l'energia elastica accumulata nel piegamento, venga riutilizzata nella successiva estensione.

Nelle fasi molto dinamiche che caratterizzano lo slalom speciale, la combinazione tra piegamento e distensione crea i presupposti per lo sfruttamento dell'energia elastica che si viene ad accumulare in particolari strutture muscolari. Tale tipo di contrazione denominata eccentrico/concentrica può essere riprodotta eseguendo l'esercizio in maniera molto dinamica, tanto da poter staccare i piedi dalla pedana di spinta (come se si effettuasse un salto). Il movimento deve comunque essere completo ma svolto senza soluzione di continuità per tutte le spinte programmate (i carichi di lavoro devono essere tali da permettere "il salto" ma non permettere che durante lo stesso il carrello del sedile arrivi a fondo corsa sbattendo sul telaio della macchina stessa).

Nella diagonale e/o nella massima pendenza lo sciatore tende a mantenere una posizione aerodinamica e "statica" a gambe piegate e busto avanti. Ciò costringe l'atleta ad assumere una posizione molto raccolta tale da limitare il più possibile l'escursione dei movimenti, soprattutto degli arti inferiori (vedi la tipica posizione ad uovo). La staticità della posizione richiede forza che viene prodotta da una contrazione isometrica ovvero senza che vi sia alcuna variazione di lunghezza del muscolo e conseguente avvicinamento dei capi articolari. Nell'allenamento, ciò può essere riprodotto eseguendo l'esercizio lentamente, con sfruttamento di tutto l'arco del movimento ed eseguendo delle pause (alcuni secondi, 5-7) alle angolature specifiche di gara.

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IL CONDIZIONAMENTO MUSCOLARE


La metodologia attualmente più usata per l'allenamento dello sciatore, prevede il sovraccarico come mezzo principale per lo sviluppo delle caratteristiche muscolari . Gli attrezzi più comunemente utilizzati sono: i bilancieri e le macchine da muscolazione . I bilancieri, sono attrezzi semplici, poco costosi ma che richiedono una tecnica particolare e specifica; sono consigliati ad atleti esperti, in considerazioni delle problematiche che possono sorgere se l'esecuzione viene fatta in maniera errata. Le macchine da muscolazione permettono un movimento specifico richiedendo, per l'esecuzione, l'impegno settoriale di uno specifico gruppo muscolare. Queste ultime sono molto semplici, sicure ed adatte a tutti, atleti esperti e non, giovani ed anziani. Il problema fondamentale del loro utilizzo risiede nella scelta corretta del carico di lavoro che deve essere perfettamente calibrato sulle potenzialità del singolo individuo.

LA PRESSA

È l'attrezzo fondamentale per l'allenamento " a secco " dello sciatore. Impegna i principali muscoli estensori dell'arto inferiore e permette di eseguire l'allenamento senza creare condizioni di affaticamento sulla colonna vertebrale.

I CARICHI DI LAVORO

Per stabilire l'esatto carico di lavoro, è indispensabile inizialmente valutare la forza massima (massimale) che il gruppo muscolare specifico riesce ad esprimere nell'esercitazione programmata. Un sistema adottabile per determinare il proprio massimale (ad esempio alla pressa), è quello di eseguire una serie di singole alzate ognuna svolta con un carico diverso e crescente, fino ad arrivare ad un carico che non si riesce più a sollevare. Ogni singola prova deve essere seguita da un tempo di recupero (circa 2 minuti) prima di intraprendere il sollevamento successivo. L'ultimo carico vinto viene considerato "il massimale".

A questo punto è possibile stabilire carichi di lavoro funzionali all'indirizzo che si vuole dare all'allenamento:

Indirizzo dell'allenamento% del massimaleNumero delle ripetizioniNumero delle serieTempo di recupero (in minuti)
RESISTENZA30-5018-2031.00"
VELOCITÀ50-8006-1042.00"
FORZA CONCENTRICA80-9501-0443.30"
FORZA ECCENTRICA (*)120-13005-0733.00"

(*) Viene allenata utilizzando la metodica del carico cedente, con piegamenti al ginocchio fino ad un angolo massimo di 100-90 gradi.

Come si può notare ad ogni specifico indirizzo allenante corrisponde:

  • l'indicazione percentuale secondo la quale il massimale deve venire abbattuto per stabilire il corretto carico di lavoro;
  • il numero delle ripetizioni da effettuare con il carico di lavoro calcolato; il numero di serie (o gruppi di ripetizioni) da svolgere;
  • il tempo di recupero da rispettare tra le serie programmate.

Esempio: con un massimale di 100 kg, per allenare la forza dobbiamo caricare sull'attrezzo 80 kg, eseguire 4 ripetizioni, riposare 3'30" e ripetere il tutto per un totale di 4 serie.

fonte:www.benessere.com

Le specialità dello sci


Lo sci alpino prevede 4 diverse specialità che si differenziano tra loro per la distanza del tracciato, per la velocità raggiunta nella discesa per la frequenza e raggio delle curva che lo sciatore deve affrontare:

DISCESA LIBERA
È la gara nella quale si raggiunge la massima velocità (anche oltre i 120 km/h). La disciplina prevede poche curve direzionali e lunghi salti, durante i quali l'atleta deve mantenere una posizione più raccolta possibile per evitare che la sua aerodinamica lo freni durante la discesa.

SUPER G
Ha le caratteristiche molto simili alla discesa libera anche se con un numero più elevato di porte disposte sulla pista in modo da rendere la disciplina più tecnica e meno veloce

SLALOM GIGANTE
E' caratterizzato da un tracciato disegnato con curve di ampio raggio inframmezzate da tratti diagonali particolarmente tecnici.

SLALOM SPECIALE
E' la specialità più spettacolare. E' caratterizzata da porte vicine e strette che esaltano le caratteristiche funamboliche, tecniche e fisiche dello sciatore.

Specificità della contrazione muscolare nello sci

La dinamica dello sci impegna la muscolatura dell'arto inferiore con diverse forme di contrazione:

  • Contrazione Concentrica, espressa nella distensione degli arti inferiori in uscita dalle curve;
  • Contrazione eccentrica, espressa nel piegamento che precede la curva, nelle fasi di ammortizzazione dopo un salto o dopo un dosso;
  • Contrazione eccentrico concentrica , tipica delle fasi veloci dello slalom speciale durante le quali lo sciatore alterna in maniera molto rapida il piegamento e l'estensione degli arti inferiori;
  • Contrazione isometrica, richiesta nelle fasi di stabilizzazione della posizione che l'atleta deve assumere per mantenere una posizione più aerodinamica possibile.
fonte: www.benessere.com

SCI DI DISCESA: APPROFONDIMENTO


A cura del Prof. Mario Testi
Testo del Prof. Giancarlo Pellis
(Preparatore atletico,
docente presso la Scuola Centrale
dello Sport del CONI di Roma)

Lo sci alpino è un'attività sportiva che coinvolge i principali distretti muscolari ed in particolare quelli degli arti inferiori. Pur essendoci essenzialmente un solo gesto atletico fondamentale che si può individuare nella curva di base, questo viene ripetuto innumerevoli volte e in condizioni ed occasioni diverse tali da determinare il totale coinvolgimento di tutta la struttura corporea. Decisiva risulta quindi una capacità di coordinazione dell'attività dei singoli gruppi muscolari.


Alla base di questo processo vi è la capacità da parte del sistema nervoso centrale di elaborare e rispondere agli stimoli determinati dalle varie situazioni esterne (tipo di terreno e tipo di tracciato) che si possono presentare lungo il pendio.

Le principali fasi della curva quindi possono essere riassunte in: discesa diagonale, piegamento con angolazione, distensione, anticipazione ed appoggio del bastoncino, piegamento con angolazione opposta alla precedente.

Le azioni muscolari principali sono scomponibili nei due movimenti fondamentali: la flesso-estensione degli arti inferiori e la torsione del tronco che coinvolge anche le articolazioni del ginocchio e dell'anca.

I gruppi muscolari interessati sono tutti coinvolti per garantire la necessaria condizione di equilibrio in relazione alla velocità ed alle innumerevoli variazioni del terreno.

GRUPPI MUSCOLARI INTERESSATI

Flesso estensioneGlutei (grande, medio, piccolo), Quadricipite femorale, Tensore della fascia lata, Sartorio, Tricipite surale,
TorsioneRetto dell'addome, Obliqui, Ileo psoas, Intertrasversali, Interspinali spinali del dorso.

fonte: www.benessere.com

SCI ALPINISMO


Un interessante sviluppo dello sci di discesa è lo sci-alpinismo. In questo caso il costo energetico è considerevolmente aumentato in quanto bisogna coprire il dislivello di salita (spesso parecchie ore). Poi viene la discesa, su nevi spesso vergini, ma variabili e spesso difficili da interpretare.
Sopra i 3000m in primavera si ha spesso la neve cosidetta "trasformata"; si intende con questo termine il fatto che la neve gela di notte creando un manto duro e resistente alla pressione dello sci che quindi non affonda. Alle prime luci del sole lo strato superficiale della neve si scioglie leggermente (per 1-2 cm) e così si scia beatamente su una superficie regolarissima che consente brillanti evoluzioni.

Itinerari

Vi sono molti splendidi itinerari una volta riservati allo sci alpinismo ma attualmente aperti al grande pubblico, come la discesa della "mer de glace" da Punta Helbronner (si raggiunge in funivia) fino a Chamonix. La discesa si snoda in uno scenario selvaggio e affascinante di alta montagna. Bisogna godersi lo spettacolo e godersi anche la discesa ma è indispensabile controllare le evoluzioni per non finire dritto in un crepaccio.
Per gli appassionati dello sci totale, a Chamonix si può prendere la funivia sino all'Aiguille du Midi; da qui si scende la Vallée Blanche in fondo alla quale ci si raccorda alla pista che discende dalla Punta Helbronner, da qui, sci in spalla o pelli di foca, bisogna risalire. In tempi eroici e osservando una tabella di marcia si è ancora in tempo per scendere su Courmayeur per il ghiacciaio di Toula. Per questa ultima parte ci vogliono gambe solide, soprattutto all'inizio; non fatevi sorprendere dall'ipoglicemia nel canalino che scende sul ghiacciaio e sul primo traverso verso destra.

fonte:www.benessere.com

SCI DI DISCESA: Allenamento


Le doti necessarie a dominare la tecnica includono una notevole forza nei muscoli degli arti inferiori ma anche una grande coordinazione neuromuscolare. La coordinazione si acquista con grande facilità nell'età infantile e quindi per diventare buoni sciatori bisogna calzare gli sci molto presto (simile considerazione vale anche per altre discipline ad elevato contenuto tecnico come la ginnastica artistica e la scherma).

L’allenamento nello sci di discesa include una fase a secco molto importante. Occorre migliorare la forza, la flessibilità e la mobilità articolare. Un buon allenamento a secco previene gli incidenti di percorso. Due mesi di allenamento (ottobre e novembre) in palestra ma anche all’aperto sono sufficienti a presentarsi in buona forma.
L’aumento della forza degli arti inferiori si ottiene mediante esercizi con macchine ergometriche o sollevamento pesi.
Se da un lato si ottiene un effetto positivo in termini di aumento della forza, dall’altro occorre prestare molta attenzione a non causare sovraccarichi che si traducono successivamente in infiammazioni delle inserzioni tendinee.
Il punto delicato è come sempre il ginocchio; quindi non conviene eccedere con questo tipo di lavoro.

Sugli sci, all’inizio della stagione, bisognerebbe ripassare lo stile e sforzarsi di eseguire bene i movimenti. Questo in effetti andrebbe fatto ad ogni uscita nei primi 10-20 minuti.

La fatica muscolare è il principale nemico dello sciatore e rappresenta in effetti la principale causa di incidenti; questi si verificano con maggior frequenza all’ultima discesa della giornata.

Alimentazione

Malgrado il costo energetico globale dello sci da discesa sia relativamente basso, non è infrequente che il soggetto manifesti ipoglicemia. Questa si rende anche maggiormente evidente in alta quota.
E’ quindi utile e consigliabile avere a disposizione qualche snack.
La stanchezza dei muscoli alla fine di una giornata rispecchia esattamente il forte impegno anaerobico. E’ importate ricordare che la via di produzione dell’acido lattico consuma rapidamente glicogeno muscolare, quindi la fatica è un fenomeno molto localizzato ai muscoli usati.

fonte: www.benessere.com

SCI DI DISCESA: fisiologia


Lo sci di discesa presenta molti aspetti positivi. E' attività fisica relativamente facile. Si può sciare bene o male, ma è certo che tutti sono in grado di acquisire una tecnica sufficiente a destreggiarsi, soprattutto oggi ove le piste sono battute meccanicamente e ogni asperità è stata cancellata.
Inoltre, lo sci di discesa garantisce una gran bella vista e una compagnia simpatica. Infine, non è molto dispendioso dal punto di vista energetico, si sfrutta infatti l'accelerazione di gravità. La spesa energetica serve solamente a frenare la progressione e a modificare il percorso: la spesa energetica è maggiore quanto maggiore è l'effetto freno e questo è esattamente il caso di un principiante che si oppone con tutte le sue forze all'aumento della velocità.

Lo sci di discesa è disciplina fondamentalmente tecnica ad elevato contributo anaerobico: si caratterizza quindi con contrazioni elevate dei gruppi muscolari e produzione di acido lattico. La fatica del discesista e il suo ansimare in fondo alla discesa rispecchiano l'acidosi che si genera in seguito alla produzione di acido lattico. E' importate ricordare che la via di produzione dell' acido lattico consuma rapidamente glicogeno muscolare. Pertanto, malgrado il costo energetico globale dello sci da discesa sia relativamente basso (se paragonato ad esempio allo sci di fondo), non è infrequente che il soggetto manifesti ipoglicemia. Questa si rende anche maggiormente evidente in alta quota.
E' quindi utile e consigliato avere a disposizione qualche snack. La stanchezza dei muscoli alla fine di una giornata rispecchia esattamente il forte impegno anaerobico.

fonte: www.benessere.com

SCI DI DISCESA: un po' di storia


Nel 1555 si pubblicò a Roma la versione italiana del testo dell'arcivescovo di Uppsala, Olaus Magnus, intitolato Historia de gentibus septentrionalibus.
Vi si descrivono "certi legni lisci e piani, piegati e ritorti in punta..... accomodati e ben fermati ai piedi con i quali le genti settentrionali si girano e trasportano sopra li alti monti de le nevi con meravigliosa destrezza ".
Circa cento anni dopo, nel 1663 il sacerdote ravennate Francesco Negri compì un lungo viaggio nelle regioni nordiche e raccolse le sue esperienze in un libro intitolato "Viaggio settentrionale". Egli riferisce di "due tavolette sottili, che non eccedono in larghezza il piede, lunghe otto o nove palme, con la punta alquanto rilevata per non intaccar la neve ". Nell'ottocento uno sciatore è il protagonista del romanzo Ondina di Fréderic de la Motte Fouqué. Nel 1888 il norvegeseNansen attraversò la Groenlandia con gli sci.

Fu un eclettico pittore svizzero, Mathias Zdarsky, alpinista solitario e montanaro di elezione a inventare lo slalom. Egli organizzò una gara di discesa con 800m di dislivello e 47 porte. Nel 1900 fu lui a proporre e fondare la Federazione Internazionale dello Sci Alpino. Era intrepido e coraggioso e sfidò i norvegesi, popolo di grandi tradizioni sciistiche, ad una gara di discesa con partenza dalla vetta del Monte Bianco.

Sempre verso la fine dell'ottocento e agli albori del novecento, nacque il turismo sciistico.
Si far risalire il business dello sci invernale all'iniziativa di un pastore metodista, certo Henry Lunn, che rientrato dalle Indie in condizioni di salute molto precarie, decise che suo compito era quello di risolvere il problema della divisione della cristianità. Così organizzò una conferenza di teologi a Grindelvald. Per organizzare i viaggi dei vari invitati, Henry Lunn mise in piedi un'agenzia turistica. Il risultato del convegno fu del tutto negativo per quanto riguardava la riunione della cristianità: rimase però l'agenzia che cominciò a gestire un flusso turistico ben presto indirizzato alla stagionalità sciistica.
Non si può terminare questa breve nota storica senza citare Hemingway che nei Quarantanove racconti parla per il suo protagonista Nick di "...una inebriante e travolgente corsa, balzi improvvisi per superare ripidi dislivelli sul fianco del monte.. con meravigliosa sensazione fisica del volo ". Bene, veniamo ad oggi. Lo sci di discesa rappresenta un vero e proprio fenomeno di rilevanza sociale, lo dimostrano le code alla partenza degli impianti e il business che ruota intorno a questa elegante attività sportiva.

fonte: www.benessere.com

sabato 16 gennaio 2010

MUAY THAI, LA BOXE THAILANDESE



Muay Thai è un’arte marziale tradizionale del popolo thailandese, praticata in Thailandia e nel resto del mondo principalmente nella sua versione sportiva (boxe thailandese), e definita impropriamente con il termine anglosassone Thai boxe(o Thai boxing).

Le origini

Le tradizioni della Muay Thai, tramandate oralmente per generazioni, risalgono a circa 1500 anni fa, in un periodo in cui il popolo Thai lottava frequentemente per affermare e difendere la propria unità nazionale.
Molti secoli dopo, i più grandi esperti di combattimento del tempo si riunirono per codificare e annotare in scrittura le tecniche di lotta con e senza armi, che fino a quel momento venivano tramandate solo oralmente. Il più famoso manuale di Muay Thai, noto col nome Chuppasart, risale al 1350 e cambiò il rapporto tra maestro e allievo, fino ad allora pervaso da un’aurea di segretezza e misticismo. L’innovazione più importante del Chuppasart fu la netta separazione tra la lotta a mani nude (Muay Thai) e la lotta armata (con l’uso di spade, lance, bastoni, pugnali) chiamata Krabi Krabong. Infatti, sino ad allora, le arti di guerra Thai prevedevano sia l’uso delle armi, che l’uso delle tecniche a mani nude.


È sotto il regno di Pra Chao Sua (1703-1709), soprannominato il re tigre per la sua abilità e ferocia di combattente, che la Muay Thai raggiunse l’apice della popolarità. Divenne lo sport preferito dal popolo in un periodo di pace in cui davvero tutti, giovani e adulti, avevano la possibilità di frequentare i campi d’allenamento. Ogni incontro, organizzato dal villaggio che possedeva i propri campioni locali, era un’occasione per scommettere. Tale tradizione è rimasta immutata, ma non le regole dei combattimenti, che a quell’epoca erano durissimi.
Non venivano usati i classici guantoni che possiamo vedere negli incontri odierni di Muay Thai, piuttosto che di pugilato. Infatti i due lottatori, erano soliti bendarsi le mani con corde che, qualche volta in alcuni combattimenti rituali, venivano impregnate con della resina, su cui venivano appiccicati frammenti di vetro.
Inoltre non esistevano le categorie di peso, i rounds con i relativi limiti di tempo, il ring (si combatteva sulla nuda terra), e l’incontro si concludeva fino al fuori combattimento o all’abbandono di uno dei due atleti.
In Thailandia, la Muay Thai fu disciplina scolastica fino al 1920, ma poi venne bandita dalle scuole per l’alto numero di incidenti che si verificavano durante gli allenamenti a causa del mancato uso di protezioni.
Nel 1930 si ebbe la svolta. In quell’anno il governo intervenne obbligando le varie associazioni regionali ad adottare regolamenti simili a quelli del pugilato occidentale, introducendo l’uso del ring, dei guantoni e delle categorie di peso. Con i nuovi regolamenti, ovviamente i colpi letali non vennero più utilizzati ma rimasero nella versione militare della Muay Thai, insegnata all’esercito reale.
È a partire dagli anni ’80 che la Boxe Thailandese-Muay Thai ha iniziato a diffondersi nel mondo, riscuotendo un ottimo successo tra i vari sport da combattimento.

Il significato del rito

Storicamente, i rituali della Muay Thai hanno origini antichissime e sono pervasi da un sentimento prettamente religioso che si collega sia a credenze buddiste che animiste. Questo aspetto è importante per capire come la cultura thai sia ancor oggi legata alla convinzione dell’esistenza di forze spirituali. Innanzitutto lo si può constatare dagli amuleti portafortuna che il thai boxer possiede e da cui trova forza nel momento in cui deve affrontare un incontro: il Mongkon(corona) e il Kruang Ruang (bracciale).
Il primo, posto dal maestro intorno alla fronte del pugile, è un ovale di corde intrecciate (oggi è un ovale in plastica rivestito di stoffa), è un oggetto sacro, e viene indossato prima dell’incontro, durante la danza propiziatoria che poi vedremo più in dettaglio. La credenza è che il Mongkon abbia il potere di preservare il pugile da ferite gravi durante il combattimento, scacciando via gli spiriti cattivi.
Il secondo, invece, non è utilizzato da tutti i combattenti, ma è personale. Legato all’attaccatura del bicipite, viene dato al thai boxer prima di iniziare la sua carriera pugilistica in uno dei tanti campi d’allenamento di cui è popolata la Thailandia. Infatti c’è un periodo di circa sei mesi, in cui l’atleta si forma spiritualmente, e nella cerimonia finale che precede l’entrata al campo, il bracciale viene benedetto dai monaci, divenendo un potente talismano. È facile notare come questi amuleti siano strettamente legati alla cultura tailandese e all’agonismo, ed è quindi raro vederli indosso a pugili occidentali. Per quanto riguarda il discorso dei gradi tecnici, questi in Thailandia vengono usati solo per evidenziare la preparazione nella Muay Boran (la versione marziale da cui trae origine la Thai Boxe), mentre per la Muay Thai atleti e insegnanti vengono classificati esclusivamente in base ai loro meriti e al valore delle loro prestazioni. Nel resto del mondo, invece, i gradi per allievi e istruttori vengono assegnati e rappresentati dal Prajaet, un bracciale posto anch’esso, come ilKruang Ruang, all’attacccatura del bicipite.
Per passare di grado è necessario effettuare degli esami, spesso a livello regionale o nazionale.

Il rituale del combattimento

L’esecuzione di questo rituale avviene prima dell’incontro vero e proprio e segue il ritmo di una musica. È un insegnamento che avviene chiaramente in un contesto diverso dalla cultura tailandese, all’infuori di una determinata credenza religiosa, e ha come finalità la conoscenza fine a se stessa.
La prima parte del cerimoniale, considerata la più importante dal pugile thai, si chiama Wai Khruu, che significa omaggio al maestro. Il pugile ringrazia il maestro per gli insegnamenti trasmessi e si protegge dagli spiriti negativi, dandosi coraggio e sicurezza.
La seconda parte, invece, consiste in una serie di movimenti aggraziati, sempre con finalità propiziatorie, e rappresenta il campo d’allenamento d’origine (ogni campo esegue una propria Ram Muay). Veniva eseguita nel passato, quando i combattimenti non avevano regole e venivano fatti sulla nuda terra, per appunto testare se il suolo presentava buche, sassi o altri impedimenti che potessero ostacolare l’andamento dell’incontro. L’esercizio a ritmo musica ritmata e di sottofondo (i cui strumenti sono generalmente fiati e percussioni), ha però lo scopo ben preciso di scandire i movimenti, per poi sferrare un attacco o difendersi da qualche colpo.
Un altro aspetto importante è il saluto, come forma di rispetto e disciplina. All’inizio dell’allenamento viene praticato un saluto collettivo, disposti di fronte all’allenatore e divisi in tre file: nelle prime linee i gradi più elevati e via via fino ai livelli più bassi.
Pronunciando le parole “Sawaddi Krap”, si giungono le mani davanti al viso, in alto e vicino alla fronte, come nel classico saluto buddista. Il saluto si pratica individualmente ogni volta che ci si accinge ad eseguire un esercizio con il proprio compagno o si rivolge la parola al maestro, e ancora collettivamente alla fine dell’allenamento.



La pratica e le tecniche

In Thailandia, il Thai boxer professionista combatte con un paio di calzoncini sopra il ginocchio con scritte in caratteri tailandesi, senza nessuna protezione (eccetto i guantoni, i bendaggi sulle mani per tenere saldi i polsi, il paradenti e la conchiglia per proteggere i genitali).

In Thailandia, il Thai boxer professionista combatte con un paio di calzoncini sopra il ginocchio con scritte in caratteri tailandesi, senza nessuna protezione (eccetto i guantoni, i bendaggi sulle mani per tenere saldi i polsi, il paradenti e la conchiglia per proteggere i genitali).

In occidente, invece, oltre all’uso dei pantaloncini e di una maglietta giro manica, identica per tutti, che ritrae il logo della federazione, si fa uso di protezioni aggiuntive per evitare gravi ferite soprattutto durante lo sparring (combattimento d’allenamento).

Le principali protezioni sono:

  • i paratibie, che proteggono le tibie e il collo del piede
  • il caschetto, per la testa
  • il corpetto, che protegge tutto il busto
  • i paradenti.

Gli allenamenti sono comunque calibrati a partire dalle potenzialità fisiche del praticante e le protezioni hanno il solo scopo di scongiurare spiacevoli incidenti.

La lezione inizia con un riscaldamento fisico iniziale, per proseguire con la pratica di memorizzazione ed esecuzione delle tecniche, la combinazione di queste ultime applicate insieme all’avversario e il potenziamento muscolare degli attacchi e delle difese.
Il potenziamento delle varie tecniche di pugno, calcio, gomito ecc.. si effettua grazie all’utilizzo dei colpitori (sacco pesante, pao) attrezzi che servono per sviluppare potenza e velocità.
Infine lo shadow boxing, o boxe a vuoto, dove gli esercizi vengono eseguiti nel vuoto per aumentare la resistenza, velocità e forma delle tecniche, di modo che queste ultime divengano, con la ripetizione, automatiche.
Una peculiarità della Boxe Thailandese è, oltre al condizionamento muscolare, il condizionamento osseo, cioè l’indurimento delle parti del corpo (ginocchia, gomiti, ma soprattutto tibie) che sono così preparate alle forti sollecitazioni a cui vengono sottoposte durante l’esecuzione di parate e attacchi. Il continuo colpire una superficie, per esempio con la tibia, rende quest’ultima più resistente, forte e insensibile all’impatto.

Evoluzione della Muay Thai moderna

Sviluppatasi in Francia e Olanda, la Muay Thai ha avuto sempre la reputazione di uno sport da combattimento violento, praticato da gente pronta a tutto e ben disposta a combattere per portare a casa un compenso adeguato. Questo pregiudizio è stato alimentato senza approfondire gli aspetti marziali e filosofici di quest’arte marziale, divenuta in seguito lo sport da combattimento che tutti conosciamo: per questa finalità infatti, venne semplificato, modificato e reso meno cruento per un uso più immediato sul ring.
Nel 1992, per iniziativa del governo tailandese, venne organizzato a Bangkok il primo corso per istruttori di Muay Thai non tailandesi (“Farang”). L’idea era che gli atleti occidentali potessero cominciare ad apprendere il background culturale e tecnico di quest’arte marziale, intesa non solo come sport, in cui potessero emergere i valori del rispetto per il proprio insegnante, dell’onore e del sacrificio.
Un altro passo importante viene fatto nel 1998 quando, per opera del ministero tailandese della pubblica istruzione, venne riorganizzato e reso fruibile da tutti gli appassionati il patrimonio marziale dell’antico regno del Siam con il nome di Muay Boran (lotta tradizionale), considerata dal governo tailandese patrimonio e tesoro culturale.
La codificazione in programmi organici e molto dettagliati della Muay-Thai-Boran ha permesso di ampliare il bagaglio di tecniche e i metodi di allenamento utili soprattutto per il combattimento marziale e, per estensione, per la difesa personale in un contesto odierno. Infatti i programmi tecnici sono basati sia sulle tecniche tradizionali che sulle innovazioni metodologiche più recenti e ordinati in ordine crescente per difficoltà ed efficacia.

Riferimenti Bibliografici:

  • De Cesaris, M., Boxe Thailandese. Muay Thai, Roma, Edizioni Mediterranee.
  • De Cesaris, M., Lezioni di Muay Thai. Thai Boxing, Milano, De Vecchi Editore.
  • De Cesaris, M., Le organizzazioni internazionali che curano la Muay Thai nel mondo: un’analisi dettagliata, su artimarziali.org
Foto tratte da:
www.thai-blogs.com

venerdì 15 gennaio 2010

L BUNKAI NEL KARATE SHOTOKAN



Il termine bunkai nell’originale scrittura giapponese è formato da due cangi (ideogrammi): il primo significa “parte di qualcosa”, il secondo indica l’azione di “slegare, liberare o sciogliere”. Nella sua interezza bunkai vuol dunque dire scomporre, smontare, dissociare e più in generale ridurre qualcosa di complesso alle sue componenti fondamentali. Nel karate la parola bunkai è generalmente usata per indicare l’applicazione pratica di un kata. Anche intuitivamente è facile capire quale stretto legame unisca le due cose, non è infatti possibile parlare del bunkai senza parlare del kata, tanto evidentemente la pratica del primo è legata alla conoscenza del secondo, in un certo senso si può dire che il bunkai si colloca vicino all’estremo finale di un ideale percorso di apprendimento di cui il kata rappresenta il principio. È questa una via complessa, costituita da molti livelli, strati di esperienza e progressione tecnica che si sommano lentamente nel corso degli anni, fino a formare una base solida necessaria per poter andare oltre.

Ogni tappa è ugualmente imprescindibile ai fini del processo formativo ed è quindi importante impiegare tutto il tempo necessario e non trascurare alcun aspetto di questo iter.

A volte può succedere, nella vita come nello sport o nell’arte, che un percorso si evolva seguendo una traiettoria circolare che porta a far coincidere inizio e fine. Quasi a disegnare un cerchio, figura geometrica perfetta per eccellenza. Dunque è possibile che dovendo imparare un nuovo kata si cominci proprio smontandone la sequenza, dividendola in piccole parti per poterla più facilmente studiare e memorizzare. Si parte analizzando in dettaglio le tecniche sconosciute, per arrivare a familiarizzare con la traiettoria degli attacchi e delle parate, il succedersi degli spostamenti e le dinamiche del corpo. Seguono, poi, le fasi che costituiscono o accompagnano tutti i primi periodi di studio di un kata: provare piano, unire le varie parti, provare ancora, provare con più forza, guardare il kata eseguito da chi ha più esperienza e scoprirlo già un po’ diverso; provare ancora, imparare a memoria l’embusen (tracciato degli spostamenti) senza quasi rendersene conto; provare forte, cercare di capire e ricordare il ritmo secondo cui si concatenano le tecniche, contrazione e decontrazione, lentezza e velocità e poi confondersi e provare ancora e ancora.

“Purity is something that cannot be attained except by piling effort upon effort”

Imparare a memoria la sequenza è forse la parte più semplice ed insieme il livello più elementare nello studio di un kata. Sarà da questa struttura primaria, quasi una fragile ossatura che si potrà iniziare o, se si preferisce, continuare un lungo e paziente lavoro di costruzione della forma e di ciò che in essa è contenuto. Rafforzando le ossa, costruendovi attorno i muscoli e i tendini, crescendo pazientemente i polmoni, vene a arterie e cuore. Sia in senso reale che metaforico. Molta parte di questo lavoro è fatto di ripetizione: pensare di fare un movimento non equivale a farlo realmente; farlo qualche volta non equivale a ripeterlo centinaia di volte. Bisogna ripetere un kata molte volte e molte altre ancora per raggiungere una certa padronanza e per poterlo quindi eseguire in una maniera che è più fisica che istintiva. Con una facilità che si raggiunge solo attraverso la reiterazione continua del gesto atletico e che porta infine alla completa metabolizzazione della sequenza da parte della mente ma, più di tutto, da parte del corpo. A questo livello è possibile eseguire il kata senza pensare alla successione dei movimenti, senza dover ragionare su cosa viene dopo e da questo livello ci si può concentrare maggiormente sulla tecnica.

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A volte è sufficiente il variare di anche una sola componente nell’esecuzione della tecnica per squilibrare l’azione e costringere a riesaminare tutto l'operato, quando si lavora per migliorare caratteristiche quali ad esempio potenza, scatto e velocità ci si rende subito conto di come la struttura formale, tanto faticosamente costruita, vacilli sotto il peso di nuove difficoltà. Eppure alzare costantemente il livello del propri obiettivi è indispensabile se si vuole avanzare lungo la strada intrapresa. Questo tipo di ricerca è affine e parallela rispetto alla ricerca di una perfezione formale e, forse è superfluo aggiungerlo, ugualmente importante. Il valore di una tecnica esteticamente pregevole ma vuota di forza e consistenza è poca cosa rispetto ai reali obiettivi che ci si pone praticando un’arte marziale. Per questo motivo è necessario mettersi alla prova sinceramente rifiutando la comodità così come l’opacità della routine. Di volta in volta disgregare l’immagine di correttezza esteriore in favore di potenza, velocità ed efficacia o viceversa e poi reintegrare tutto in una continua ricerca di miglioramento. Anche in questo caso è necessario guardare con sincerità e spirito critico il lavoro svolto e i risultati raggiunti, correggersi se necessario e, a volte, cominciare da capo nonostante la fatica che ciò comporta.

Raggiungere un buon livello di padronanza del kata significa conoscerne e soprattutto capirne il ritmo. La dinamica secondo cui si susseguono le tecniche e l’uso del tempo, caratterizzato da pause ed accelerazioni, movimenti lenti e combinazioni veloci hanno un preciso significato, non sempre di facile interpretazione.
Una prima basilare forma di bunkai consiste nell’eseguire il kata cercando di visualizzare l’avversario o gli avversari da cui ci si deve difendere e poi contrattaccare quando si eseguono le varie tecniche. Questo tipo di esercizio non è semplice; nell’esecuzione del kata doti fisiche, abilità tecnica e soprattutto la capacità di concentrazione sono già sollecitate ai massimi livelli, aggiungere un altro elemento stressante costituisce sempre un problema ma, come sempre, anche l’unico modo per migliorarsi. Un escamotage per facilitare questo compito può essere quello di studiare il kataeseguendolo avversario per avversario, dividendolo cioè in microcombinazioni in cui una piccola pausa separa le tecniche dedicate ai vari attaccanti.

“Tra le trappole del valore, la più diffusa e perniciosa è la rigidità, cioè l’incapacità di cambiare il valore dei dati per rimanere fedeli a valori prestabiliti. Nella manutenzione della motocicletta devi riscoprire volta per volta quello che fai”.

Eseguire per la prima volta un kata con avversari reali può rivelarsi esperienza sgradevole e frustrante destinata a rimanere tale per lungo tempo. Questo tipo di allenamento mette a nudo impietosamente le proprie manchevolezze di qualsiasi tipo esse siano. Prima fra tutte l’inefficacia delle tecniche stesse. Movimenti ripetuti migliaia di volta diventano pietosamente incerti: non si riesce più ad eseguire correttamente la sequenza ma non solo, a volte, addirittura a ricordarsela; parate e attacchi risultano così poco reali e l’impressione generale che ne consegue è di profonda inadeguatezza. Ma questa dolorosa sperimentazione serve sempre e comunque, se non altro a porsi delle domande. Ancora una volta, come spesso è accaduto nell’accezione più alta del termine "arte", cambiando alcuni parametri si sono sconvolti equilibri faticosamente guadagnati. In alcuni casi il problema può nascere dal fatto di non aver ancora raggiunto un livello tecnico sufficientemente alto per affrontare questo tipo di prova, ma in generale è possibile che il problema sia fondamentalmente diverso. L’allenamento a cui ci si sottopone così a lungo ed intensamente è altamente specializzante e la struttura sia tecnica che mentale che ci si costruisce è speso così compatta e rigida da escludere necessariamente tutto ciò che devia anche leggermente. Quando ci si trova in una situazione diversa e l’orizzonte mentale in cui si è abituati a muoversi e a vedersi è dissimile e può capitare di rimanere bloccati, incapaci di adattarsi alle nuove coordinate spaziali. L’interazione con l’attaccante va a modificare il ferreo ordinamento delle tecniche all’interno di un tipo di pratica che non prevede avversari reali. Il tempo e il ritmo non sono più una sfida univoca alle personali capacità, la distanza con l’attaccante acquista un’importanza di particolare spessore rispetto a prima. La capacità di destreggiarsi fra queste variabili restando fedeli al kata non è il tipo di abilità che si può acquisire nel giro di pochi giorni. Così come avviene per il kata anche nel caso del bunkai è necessario seguire una progressione graduale che consenta di migliorare costantemente fino a raggiungere la piena padronanza delle tecniche del kata, anche e soprattutto all’interno di un contesto completamente diverso.

“Kata is one thing, engaging in a real fight is another”

Un altro tipo di lavoro molto utile per crescere sia tecnicamente che tatticamente e contemporaneamente per allargare e rendere più elastici gli schemi mentali che ci si è costruiti nel corso del tempo è rappresentato dal bunkai del kion. Solitamente in questo tipo di allenamento la sequenza di tecniche presa in esame è decisamente più breve e perciò meno complessa, questo in un certo senso facilita il compito e permette di affrontare ogni passaggio con maggiore concentrazione. Anche in questo caso, nella fase iniziale, riesce difficile svincolarsi dall’abitudine a interpretare la tecnica nell’unico modo che si percepisce come corretto, assorbito durante anni di allenamento. Così di volta in volta si introdurranno delle piccole variazioni, si eseguirà la tecnica o la sequenza di tecniche a partire da una situazione in movimento oppure si studierà come usare una “finta” o come guadagnare spazio negli spostamenti. Soprattutto si imparerà a gestire tempo e ritmo di uno scontro seppure breve con l’avversario, preludio ed accompagnamento dell’allenamento di kumite.

“Se non si pensa che si è in procinto di colpire, se non si permette che nascano pregiudizi o riflessioni, se, nell’istante preciso in cui si vede la spada che oscilla, questa visione non invaderà totalmente la mente, si potrà intervenire nell’azione dell’avversario strappandogli la spada”.

L’allenamento per il bunkai è strettamente legato al concetto di prontezza, sia fisica che mentale. Ovvero, essere preparati a reagire in qualsiasi situazione, anche la più spiazzante. Essere pronti a muoversi nello spazio in qualsiasi direzione, retrocedendo o avanzando a seconda dei casi, trasformando una parata in attacco o viceversa. Riuscire a reagire in maniera istintiva e quindi velocissima, grazie al sapere e all’esperienza accumulate durante gli allenamenti. Essere decisi a reagire in qualche modo e avere la capacità di farlo. Saper fare quello che è corretto ma anche il suo contrario. Essere sempre pronti.

Fonti tratte da:

  • Italo Calvino “Lezioni americane”, Oscar Mondadori
  • Takuan Soho “La mente immutabile. Scritti di un maestro zen a un maestro di spada”, Luni Editore
  • Robert M. Pirsig “Lo Zen e l’Arte della manutenzione della motocicletta”, Adelphi
  • Si ringrazia Paola Bertuzzi, praticante 3° Dan di karate shotokan, per il prezioso materiale fornito.

Per le fotografie si ringrazia la disponibilità della squadra vincitrice dai campionati italiani di kata FIKTA (2004 e 2006): Fabio Cattaneo, Fabio Fugazza e Vittorio Lazzaroni.

giovedì 14 gennaio 2010

SHUAI JIAO E BOKE, LO SPIRITO DELLA LOTTA

Le origini
Lo Shuai Jiao è un metodo tradizionale di lotta cinese progenitore dello judo. Arte nata in Cina circa cinquemila anni fa comprendente la lotta corpo a corpo e le proiezioni, si basa sui principi presenti in quasi tutte le tecniche di combattimento, ossia agilità, scioltezza, coordinazione, equilibrio e forza. Tuttavia i gesti atletici devono essere espressi in maniera armoniosa e il praticante deve possedere un profondo rispetto dell’avversario in modo da non causargli ferite.

L’elegante spettacolarità dello Shuai Jiao
Caratterizzato da grande fluidità dei movimenti, questa arte marziale è alla continua ricerca di morbidezza e sensibilità senza tralasciare efficacia e completezza del combattimento.
Nelle competizioni viene fortemente penalizzata una tecnica di presa statica ed è impossibile utilizzare la lotta a terra. Per questo gli atleti allenano strategie di squilibrio e inganno dell’avversario, simulando una tecnica per poi portarne un’altra decisiva. Il ritmo degli incontri è piuttosto veloce e variegato da spettacolari proiezioni.

Boke
A differenza dello Shuai Jiao, le origini del Boke risalgono all’XI secolo. L’originalità e la caratteristica bellezza di questa arte che esprime la tradizione e il carattere del popolo mongolo, è oggi praticata e seguita anche dai cinesi.

Boke:
il costume
tradizionale

Stivali in cuoio, molto robusti

Pantaloni ampi, infilati negli stivali e legati in vita con una corda

Copripantaloni decorativi, legati con cordicelle

Drappo colorato, posto intorno alla vita

Fibbia, rivestita di borchie e decorata con placche di metallo incise e colorate

Giacca di cuoio spesso

Boke:
il torneo

Su terra battuta, ampia area di gara

Cerimonia iniziale, scambio simbolico di una piccola sciarpa bianca che viene messa intorno al collo del capo squadra rivale in segno di rispetto e lealtà

Ingresso dei lottatori, con danze tradizionali e saluto fra gli avversari (pugno chiuso e mano aperta)

È tutto nell’abilità del lottatore, non esistono divisioni di peso o limiti di tempo: il primo che tocca il suolo viene definitivamente eliminato

Anche le donne, combattono tra di loro

Premiazioni, sia per chi perde (con oggetti tradizionali tipo coltelli decorati) che per chi vince (al terzo classificato un bue, al secondo un cavallo e al primo un cammello)

Dove praticare in Italia

È possibile rivolgersi all’Asi, Associazione Shuai Jiao Italia, per informazioni relative ai corsi tenuti dagli allievi italiani del Maestro Yuan Zumou,www.shouboitalia.it
Ogni due anni, si svolge a Parigi il torneo internazionale di Shuai Jiao: evento unico a cui partecipano delegazioni di lottatori mongoli, sgargianti nei loro costumi tradizionali.
Il Maestro Yuan Zumou, responsabile europeo, insegna, all’interno delle associazioni, le tecniche della Lotta Cinese Tradizionale, del combattimento a mani nude e del Tai Chi Chuan.
Portatrici di valori forti, umanitari e fondamentali, nate da una tra le più belle e antiche culture del mondo, le arti marziali rispondono ora a numerosi bisogni in materia di educazione e promozione sportiva, soprattutto in quei quartieri e città particolarmente sensibili. Questa disciplina semplice, formativa e poco costosa è aperta a tutti.


Si ringrazia per le fonti e le immagini di allievi e maestri:

Fonte: Lidia Katia Manzo

mercoledì 13 gennaio 2010

BHARAT NATYAM LA DANZA SACRA INDIANA DA GUERRA



La danza indiana presta all’essere umano, più di ogni altra espressione artistica dell’India, la preziosa apparenza della divinità. Bharata Natyam, dalle sillabe Bha, da Bhava lo stato d'animo, ra da raga, tada tala e Natyam combinazione fra danza e mimo, è lo stile di danza classica indiana più conosciuto.

Le origini
Il bharat-natyam è la forma più antica delle danze classiche indiane. Ha avuto origine nell’India meridionale e lo praticavano le danzatrici dei templi chiamate devadasi (serve di dio). Da loro deriva il primo nome che la danza ha avuto: dasi attam, altrimenti chiamata Sadir kacheri.
Bharata Natyam, come altri stili di danza classica indiana, possiede una particolarità: oltre a nrtta, cioè l'aspetto di danza pura, possiedenatya, qualcosa che potrebbe ricordare la pantomima. Il danzatore si trasforma in attore per raccontare storie. Questa sorta di mimo viene chiamata Abhinaya. Nell'antico testo Abhinaya Darpana (XIII secolo), si trovano descritte tutte le possibilità di espressione delle varie parti del corpo, dai muscoli del viso a quelli delle mani: nove movimenti possibili sono attribuiti alle pupille e alle palpebre; le sopraciglia invece devono saper giocare con sette movimenti, il collo con sei; per le mani sono state codificate ventiquattro posizioni per la mano singola e tredici per le mani in coppia (hasta mudra).

La pratica
Il primo livello di lavoro è quello fisico, come nella danza o nelle arti marziali; qui troviamo una analogia con l’arte da combattimento indiana Kalari Payat in cui la posizione di base con le ginocchia piegate è la stessa della danza. L’energia è concentrata nell’ombelico, la schiena deve essere diritta e il peso egualmente distribuito. Ogni movimento del danzatore è finalizzato alla ricerca dell’equilibrio e si divide in triangoli. Il triangolo è, infatti, considerato alla base dell’energiakundalini che risiede nella zona del perineo e viene rappresentata nel chakra muladhara con la forma di un triangolo.

In uno spettacolo di Bharata Natyam vengono danzati brani tratti dalla letteratura epica e dalla mitologia religiosa. La lingua del canto è il sanscrito, a volte il tamil. Oggi vengono scritte liriche anche in hindi. Il costume della danzatrice e i suoi ornamenti costituiscono un vero e proprio linguaggio: i suoi orecchini ricordano infatti il gopuram del tempio e nei capelli porta i simboli del Sole e della Luna. Sulla nuca si riconosce la tipica acconciatura di gelsomini che termina con una cascata di fiori lungo la treccia. Le mani e i piedi vengono dipinti con una sostanza (alta) che ne evidenzia i movimenti. I bracciali di sonagli alle caviglie, le cosiddette cavigliere, sottolineano il ritmo, marcato a piedi nudi.

I cinque stili classici
Ciascuno dei cinque stili classici della danza indiana, bharat-natyam, kathakali, kathak,


manipuri e molini-attam, comprende due parti (margi e desi), tre forme (nrtta, natya e nrtya), due aspetti (tandawa e lasyan) e quattro guide (abhinayas: angina, vacika, aharya e sattvika).
La musica, come la danza, è divisa in due parti, ognuna con delle regole proprie: margi è eseguita per gli dei, mentre desi è destinata ai mortali.

Il nrtta è il tema, sprovvisto tuttavia di caratteri descrittivi. Presenta pochi gesti delle mani e un lavoro incessante dei piedi. Il natyaè la danza-dramma nel suo aspetto più completo, che utilizza tutte le risorse della tecnica. Il canto occupa un posto importante; ilnrtya consiste in canti che il danzatore interpreta con la danza, con movimenti dolci accompagnati da una musica melodiosa.
Le quattro guide sono le regole che accompagnano i vari aspetti della danza:l’angika abhinaya (gesti estetici) regolamenta la postura e i movimenti; il vasika abhinaya la pronuncia, l’accento e il ritmo; l’aharya abhinaya si occupa del costume e delle decorazioni; il sattvika abhinaya cataloga le rappresentazioni delle otto condizioni psichiche che si traducono con: immobilità, sudore, eccitazione, tremore, cambiamento di colore, cambiamento di voce, piani o svenimento.

Le regole del bharat-natyam
Il bharat-natyam è un’arte difficile. Ciò che appare fluido, aggraziato, facile, esige un allenamento costante e una ripetizione quotidiana di ciascun movimento. La forma della disciplina è alquanto rigida e prevede:
Saustavanga: simmetria perfetta del corpo.
Tryasra: le dita dei piedi dirette leggermente verso l’esterno.
• Grazia delle braccia, movimenti laterali delle mani che gli occhi devono sempre seguire (pratica comune a tutte le danze indiane).
• Passo fermo e deciso; la distanza tra i due piedi, quando uno è sollevato, non deve superare gli otto centimetri.
• Salti e pose semiaccosciate, giri rapidi, passi sulla punta dei piedi o sui talloni, movimenti di spalle e pugni.

Molti occidentali si stanno aprendo a questa arte, realizzando ottimi risultati. Anche lo scambio con le arti marziali è interessante, in quanto il lavoro sull’energia è comune all’arte indiana da cui sono anticamente derivate molte arti da combattimento cinesi e giapponesi.

Bibliografia:

Foto:

  • Ujwal Mukund Bhole, uno dei maggiori maestri indiani di Bharata Natyam

martedì 12 gennaio 2010

IL BAJUTSU, L'ARTE DELL'EQUITAZIONE MILITARE GIAPPONESE


Il bajutsu è l'arte dell'equitazione militare che, assieme al ken jutsu ed al kyu jutsu , era alla base dell'addestramento marziale di ogni samurai. Conosciuta anche come jobajutsu , quando si riferiva alla terraferma, e suieijutsu o subajutsu per l’attraversamento di distese d’acqua, ha rappresentato per secoli il segno dell’effettivo dominio miliare e politico del samurai giapponese.

Le origini

L’arte equestre risale ai primi secoli dell’età feudale nipponica. Anche in Giappone, così come in Occidente, il cavallo fu utilizzato come compagno in battaglia e divenne uno degli elementi distintivi del bushi. La stessa residenza del cavaliere comprendeva le scuderie e i campi per l’addestramento dei formidabili combattenti.

La pratica

L’avanzata del bushi a cavallo verso le linee nemiche si attuava secondo percorsi irregolari di convergenza, per togliersi dal bersaglio dei colpi nemici. Durante tutto il percorso, il cavaliere scagliava frecce a ripetizione e, solo raggiunta una distanza ravvicinata,utilizzava la lancia o la spada lunga. L’addestramento doveva, quindi, puntare a raggiungere un’abilità di cavalcata tale da garantire la piena mobilità e la perfetta esecuzione delle strategie belliche. Anche il destriero doveva essere in sintonia con la personalità del suo padrone, al punto da agire in sincronia coi suoi movimenti, ritraendosi o impennandosi all’occorrenza. Il perfetto cavaliere doveva, inoltre, saper cavalcare a lungo senza stancarsi, percorrere ogni tipo di terreno ed attraversare fiumi o corsi d'acqua.

Le tecniche

  • Si monta a cavallo da destra, gettando il peso sul calcagno e non in avanti
  • Le redini si tengono con entrambe le mani fino a quando non si deve combattere
  • Durante lo scontro, le redini si fissano vicino alla corazza, le mani sono libere e il corpo asseconda i movimenti sostenendosi al cavallo solo con la forza delle gambe
Equipaggiamento del cavaliere
Uma-yoroiArmatura da cavallo
HoroCappa
Sune-AteSchinieri (protezione per le gambe)
HaidateCosciali
MuchiFrustino flessibile
Equipaggiamento del cavallo
KutsuwaMorsi, briglie
Kangama-itaParaguance
HanagawaCinghie per il naso
Kutsu-wazaraRedini
Atsu-busaNappe
Kura-no-bajuSella con accessori
HarubiSottopancia
Abumi, battoStaffe

La pratica del bajutsu fu abbandonata attorno al 1600 a causa dell’uso limitato dei cavalli per via del loro costo proibitivo legato all’allevamento e al mantenimento. Lo stesso territorio ricco di paludi, isole, campi di riso, colline e rilievi, si rendeva poco adatto all’utilizzo di enormi masse di cavalieri, al contrario di quanto accadeva nelle immense pianure dell’Asia centrale. Inoltre, la relativa tranquillità del periodo Tokugawa e l’assenza di guerre ridussero l’equitazione militare ad una funzione limitata per lo più alle cerimonie, agli eventi emozionanti come la festa Yabusame o ai cortei ufficiali dei governatori delle province.

L’equitazione militare ebbe un effetto importante sulle arti marziali giapponesi,
perché si legò a loro in un rapporto strategico.

Le arti dell’arco, della lancia e della spada,
ma anche le arti di combattimento a mano nuda
furono tutte influenzate nella loro tecnica di esecuzione
anche per assicurare un migliore uso ai guerrieri a cavallo.


Fonti tratte da:

Trattato di Hitomi Sensai Munetsugu, 1613 Ratti - Westbrook, “I segreti dei Samurai”, Edizioni Mediterranee www.kobukan.it

Immagini tratte da:

Yoshitoshi, 1885 - Publisher: Akiyama Buemon, www.japaneseprints.net www.yoseikan.asso.fr


Tratto da: benessere.com